Quando gli elefanti litigano
“Ogni punto di vista è la vista di un solo punto” dice Filomeno Lopes, scrittore giornalista, filosofo della Guinea Bissau, in questi giorni docente all’ African Summer School di Verona.
Autore di una serie di scritti, fra cui “Se l’Africa sparisse dal mondo” e “Filosofia intorno al fuoco”, Lopes riflette da anni su una cultura della comunicazione che consenta nuove relazioni con il mondo occidentale, ma non solo. Per Lopes sono centrali il superamento degli stereotipi folcloristici e una nuova consapevolezza.
“Dobbiamo andare al di là del tamburo e della cucina tradizionale, per dire chi siamo. Finora ci hanno descritto e raccontato antropologi occidentali. Non è colpa loro, è colpa nostra, che cosa aspettiamo noi africani a dire chi siamo?
Certo le ferite del colonialismo, della schiavitù dello sfruttamento sono aperte, ma non sono le uniche ferite su cui credo siamo chiamati a riflettere.”
Si riferisce al genocidio del Rwanda?
“Mi chiedo come sia stato possibile che negli anni Settanta ci siamo ammazzati tra fratelli in Mozambico, Angola, Guinea Bissau, Rwanda, Nigeria, Costa d’Avorio… Perché si è generata una subcultura dell’antifratellanza, un’antropologia della collera, una democratizzazione dell’imbecillità, come si legge in Cabral?
Noi che abbiamo una tradizione antica di accoglienza, di compassione, di solidarietà, com’è possibile che abbiamo crocifisso il nostro paese, per usare un’immagine di Jean-Marc Ela. Com’è stato possibile? Non ho una risposta ma questa è una delle domande che dobbiamo porci.”
Chi paga il prezzo più alto?
“Un vecchio proverbio dice che quando gli elefanti litigano, chi ci rimette è l’erba, cioè il popolo che subisce la militarizzazione o la partitizzazione di un pensiero unico.
Dobbiamo chiederci chi vogliamo essere nel mondo. Invece noi africani siamo caduti nel mimetisimo culturale, molti di noi vogliono costruire un’altra Europa in Africa, ma secondo me pensare con la testa degli altri significa sparire.”
Da dove bisogna ripartire?
“Cambiamo il nostro punto di vista. Ripartiamo dalla comunicazione. L’Africa va considerata non più come oggetto ma come soggetto di un dibattito.Non più un luogo solo geografico ma un luogo mentale. L’Africa nasce sulle navi della schiavitù, i primi a pensare all’Africa furono gli schiavi, poi sono venute le riflessioni sul panafricanismo, sulla negritudine e quelle dei padri dell’indipendenza.”
Oggi qual è la strada?
“È il modo in cui decidiamo di abitare il mondo. Non ritiriamoci nel passato per aprire le tombe e sentire la puzza dei cadaveri.
Siamo chiamati a dare risposte per il futuro alle nostre comunità, risposte che saranno anche un piccolo contributo al villaggio-mondo di cui facciamo parte. Insomma impegnamoci per quello che Cabral chiama ‘il programma maggiore delle nostre lotte per l’indipendenza’ e Mandela ‘il secolo del rinascimento africano’. Un nuovo punto di partenza che non potrà che fondarsi sulla riscoperta delle nostre origini, della nostra storia, dei nostri classici.”
Mario Anton Orefice