Il calcio come strumento di colonialismo mentale in Africa
La quinta e ultima giornata di lezioni dell’African Summer School si è aperta con un argomento apparentemente poco inerente: il calcio.
Il prof. Jean-Paul Pougala ha iniziato la mattinata chiedendo a ciascuno dei presenti quale fosse il loro grado di interesse per il calcio. Al termine del sondaggio si è potuto notare come molte persone non seguano affatto questo tipo di sport, mentre tra i pochi appassionati, spiccano solo nomi di squadre ben note.
Ma cosa c’entra il calcio con la geostrategia?
Nella maggior parte dei casi, si conoscono solo le squadre maggiori, magari solamente quelle europee, e molto spesso senza sapere i nomi dei calciatori che le compongono. Gran parte dell’opera di diffusione delle squadre dipende dalla televisione, dalla visibilità che si dà allo sport. In Italia, per esempio, circa il 70 % del tempo di trasmissione della Rai è riservato al calcio; inoltre, il giornale più letto dagli italiani è la Gazzetta dello Sport. Questa diffusione non corrisponde all’interesse reale della popolazione.
I Paesi in cui si investe maggiormente nel calcio sono Paesi con problemi sociali, in cui si attua un’operazione di manipolazione.
In Africa, molte persone tifano per le squadre dei Paesi di antica colonizzazione, manipolati dall’ideale della fortuna che un calciatore può arrivare a possedere. Esistono scuole di calcio che formano i giovani con la promessa di un contratto con squadre internazionali importanti, ma tutto questo è soltanto un’illusione.
La verità è che, nonostante in Africa ci siano queste scuole, non vi è alcuna possibilità per i ragazzi giovani di vincere. Le persone vengono manipolate e convinte che ci possa essere la speranza di realizzare questo sogno.
Il calcio è dunque uno strumento di colonialismo mentale per quanto riguarda l’Africa. Ciò che accade con questo sport, vale anche per moltissimi altri ambiti, ed è questo il punto. Vige il concetto di subalternità, di superiorità. Chi nel mercato va più forte e ha la possibilità concreta di vincere, si permette di decidere chi sia meglio di altri.
Alcuni ragazzi durante la discussione a gruppi
In seguito, i ragazzi dell’African Summer Schoolsono stati divisi in dieci gruppi, ai quali è stato chiesto di ragionare nell’ottica della geostrategia e di rispondere a tre domande:
1) Come geostrategici uno stato africano vi ha sollecitato e vi sollecita per trovare soluzioni alla dilagante disoccupazione giovanile. Trovate 5 soluzioni e spiegate perchè possono avere successo nel periodo di crisi economica.
2) Trovare 5 ragioni per cui l’Africa può essere considerata un El Dorado e 5 ragioni per cui, malgrado ciò, per molti giovani africani l’Africa sembra un inferno.
3) Indicare 5 stati africani in cui avviare un progetto imprenditoriale.
I ragazzi hanno poi esposto i loro risultati, sottolineando come soluzione alla disoccupazione l’importanza della formazione e dell’educazione della popolazione locale, nonchè la valorizzazione dei giovani e lo sfruttamento reale delle risorse presenti sul territorio. L’Africa è una specie di paradiso per la cultura in generale, per la sua storia e per la lunga serie di tradizioni che le appartengono. Nel continente vi sono numerose risorse, ma vi è troppo poca specializzazione nella popolazione per poterne usufruire. Manca un’informazione adeguata, un sistema economico ben strutturato e mancano le speranze, abbattute dai tempi correnti.
Pougala si è ritenuto soddisfatto dei risultati ottenuti dal dibattito di gruppo.
In conclusione, il professore ha voluto dare qualche suggerimento ai ragazzi. Secondo Pougala è molto importante l’originalità. Se i ragazzi vogliono andare avanti ed affermarsi devono creare qualcosa di nuovo, pensare a qualcosa che sorprenda, che si distingua dalla massa. Loro stessi come persone devo essere unici, spiccare tra gli altri. Devono essere capaci di avere un’idea e di avere la forza di portarla avanti nonostante tutto.
«Se dovete camminare con le impronte degli altri, nessuno si ricorderà di voi», ha detto il professore.
Pougala ha inoltre ricordato che il progetto non finisce qui. Ora tocca ai ragazzi mettersi in gioco, creare qualcosa di concreto e presentare i loro lavori entro novembre. Solo così potranno mettere in pratica ciò che hanno imparato alla Summer School e maturare diversamente come individui.
Maria Pozzato
Il referendum – media partner